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Il karate
si pratica tutta la vita
Il karate non è fatto
per offendere e danneggiare
Il karate inizia con il saluto
e termina con il saluto
Il karate è una via
per l'automiglioramento
Il karate non è vincere,
ma l'idea di non perdere

Karate plurale

“L’uomo inventò la ruota molti anni dopo che già suo figlio ci giocava.”
(Antonin Artaud)

Per Karate Plurale si intende l’apertura ad un ecosistema molto ampio, dal preciso luogo del Karate. Già abbiamo introdotto due termini molto precisi. Il luogo non è uno spazio e l’ecosistema è un’arte dell’educazione, più che una scienza. Parlando di una realtà che si pre-occupa della disabilità, è comunque innegabile che i fattori estremi della stessa permettono di affrontare e realizzare risposte pedagogiche che per gradi diversi possono interessare l’educazione insita nel Karate. La situazione estrema di una disabilità reale e concreta alle prese con un’attività psicofisica impegnativa, può far luce sulle urgenze educative di più ampio respiro. La disabilità è culturale, si è disabili nei confronti di ciò che la realtà sociale ci richiede, “…handicap è una nozione di natura squisitamente sociale e non biologica, essendo il risultato di un’interazione tra un individuo con un’infermità e le condizioni in cui si trova” (Canevaro). Da queste premesse si chiarisce il senso di quel plurale e dell’educazione come ecosistema. In una crisi della pedagogia come quella attuale (a cui si risponde con un aumento esponenziale di certificazioni per i più giovani) il Karate è un luogo pedagogico/educativo con risposte concrete molto forti che possono ampliarsi notevolmente al di fuori del suo spazio. Non si tratta solo di trasmissione di saperi e tecniche, ma di un massimo di immaginazione sociologica e pedagogica in senso lato. Come insegnato da molti veri educatori, la pedagogia, per definizione, guarda al futuro, è, deve essere, profezia. Primo passaggio per questo ecosistema è l’inclusione, realtà di fondo del progetto Karate Plurale, garanzia del possibile incontro tra luoghi (il farsi luogo d’ognuno). Ciò interessa la persona come soggetto prima che come cittadino, la sua realtà prima che le convenzioni, sociali e non; c’è differenza tra realtà e reale.

Introduciamo un’altra parola importante, il bricolage. La storia del mondo e dei viventi non ha una progressione certa e in qualche modo meccanica. Il funzionamento creativo si avvale, per evolvere, del bricolage. Comprensione multipla, la mente ha bisogno di allargare la prospettiva di comprensione. Molteplicità di possibilità degli esseri umani dove la pluralità accompagna la nostra storia. La dimensione psichica, umana, è pluralità, o non è. In queste incertezze e possibilità ci si corregge e ricorregge, una sorta di manutenzione attraverso il bricolage pedagogico/educativo, in cui quello che pensavi non è quello che puoi. La realtà corregge le illusioni nell’esperienza dei propri limiti. Libertà di crescere e manifestarsi attraverso le imperfezioni.

“[…] Queste riflessioni pongono il problema decisivo dell’identità della persona con disabilità, dal bambino all’adulto, e, soprattutto dell’educare all’identità e alla sua costruzione e il cui valore ‘è nello scambio o non è’, così come le trasformazioni e le evoluzioni sono possibili con il bambino con disabilità e non contro il suo modo di essere, a partire dal contributo stesso del bambino reso consapevole di sé. […] In fatto di disabilità ciò significa promuovere consapevolezza nel bambino come fattore identitario e non perché questo sminuisca sé stesso o ‘rinunci a qualcosa’ (attività, apprendimento e così via), ma perché insieme a lui si cerchino i ‘trucchi’ per aggirare le difficoltà, per fare con l’handicap (e non: non fare oppure fare contro l’handicap)’. […] Quante volte, di fronte a funzionamenti non ordinari o deficitari, si dice ‘è così’ con la cognizione pratica del mondo perduto o mai conquistato che cristallizza gli individui nei loro deficit e nell’impossibilità di fare come gli altri? […] L’unica soluzione è calarsi in situazioni pratiche, di una pratica che ragiona su sé stessa, sulle sue pertinenze caso per caso, all’interno di un processo dinamico che deve coinvolgere le persone con disabilità. […] in un rapporto fondato o che ricerca alcune qualità: la dimensione dell’autenticità, la presa in considerazione del corpo, la dimensione del desiderio, il rispetto dell’immaginario. (Andrea Canevaro)

Karate Plurale si pone, si cala in queste situazioni pratiche, con disabilità fisiche, cognitive, psico/affettive, conoscendo e sperimentando una realtà a cui nessuno è esente, seppur per gradi molto diversi. I soggetti disabili sono straordinari in questo poiché permettono un chiaro confronto senza alcuna pretesa o maschera mediatrice. L’imperfezione si situa nella globalità perché non si specializza e non crede nell’idea di un percorso di sviluppo che parta da A per arrivare a B, spostamento in uno spazio geometrico, ma crea un luogo per intensità, vissuto nelle situazioni pratiche. Gli esseri umani conoscono il 4% della realtà che li circonda. Vivono più con domande che con risposte. Lo specialismo e il tecnicismo che rifiutano l’imperfezione sono atteggiamenti improntati alla discriminazione, concentrandosi nell’esclusività che esclude, credendo di sapere già tutto. La storia della terra è una continua contaminazione feconda e complessa. L’evoluzione è un caos. Per questo l’educazione guarda al futuro della realtà umana nella dignità e ricchezza dell’imperfezione. ‘Educazione è una parola delicata’ diceva Maria Montessori e va difesa da ciò che calpesta la dignità. Oggi è ancora più difficile di ieri, perché vi è una realtà assurda in cui crescere, molto più vasta e incontrollata a cui far fronte, sintetizzabile in tre grandi mostri uniti dalla comunicazione; il turismo di massa (mondo come spazio turistico), l’ottimismo (che, oggi, coincide con l’ottusità) e la pubblicità in tutte le sue forme (centuplicata dai social). Questi tre mostri unificano nell’esclusività della cultura media, che è nemica mortale di ogni vera cultura, quella alta e quella bassa. Nella tabula rasa che rimane i soggetti non si educano, non creano un ecosistema, un luogo vissuto per intensità. Il Karate nella pluralità è educativamente attivo, senza dover inventare niente perché è già parte della sua struttura e fenomenologia. Solo adattamenti pedagogici in base alle situazioni. La disabilità non ha diritti o bisogni speciali, ha gli stessi diritti e bisogni della normalità, che nel concreto realizza in capacità diverse ma di pari dignità.

La filosofa Martha Nussbaum, che si propone di indicare un tipo di educazione incentrata sull’intelligenza delle emozioni per creare capacità (aggiungo che l’intelligenza delle emozioni è ampiamente presente nei disabili, anzi, è maggiormente eliminata nella normalità da quella cultura media sviluppata dalla comunicazione dei tre mostri già nominati) compone la lista di dieci capacitazioni o capabilities:

  • La vita. Aver la possibilità di vivere una vita sufficientemente lunga e degna di essere vissuta, aver la possibilità 
di morire prima che la vita diventi indegna di essere vissuta.
  • La salute fisica. Essere capace di conservare una buona salute, anche dal punto di vista nutrizionale.
  • L’integrità fisica. Potersi muovere liberamente, con sicurezza, anche relativamente a violenze a scopo 
sessuale e a violenze domestiche. Avere una vita sessuale di libera scelta.
  • Le attività dell’immaginazione e del pensiero. Poter percepire, immaginare, ragionare, avendo un ́educazione 
di base linguistica, matematica e scientifica. Essere capace di agire con scelte opportune. Vivere la libertà di 
 Essere nelle condizioni per poter vivere esperienze piacevoli, e di evitare esperienze mortificanti.
  • Le emozioni. Essere in condizioni di poter vivere l ́attaccamento a cose e persone, di vivere i propri sentimenti. 
Non vivere nella paura e nell ́angoscia. Essere capace di vivere nella società con gli altri.
  • La ragione pratica. Essere in grado di avere una concezione del bene e di avere una riflessione critica sulla 
propria esistenza, con libertà di coscienza e di culto.
  • L’affiliazione. Essere capace di riconoscere altri e vivere con loro. Vivere empaticamente, sapendo mettersi 
nei panni dell ́altro. E quindi godere dei diritti civili che garantiscono il libero incontro e la libertà di opinione. Essere capace di trattare l ́altro come uguale, di rispettarlo e non umiliarlo.
  • Le altre specie. Rispettare animali e piante, ossia l ́ambiente.
  • Il gioco. Saper ridere, giocare e distrarsi.
  • Il controllo del contesto. Politico: la partecipazione. Materiale: conservazione dei beni, sia propri che collettivi. 
Sul lavoro, lavorare come un essere umano, riconoscendo ed essendo riconosciuto il valore del lavoro proprio e degli altri.
  • Gardner considera che ci sono cinque chiavi per il futuro:
    • l’intelligenza disciplinare, che governa una forma di pensiero (una modalità di conoscere una disciplina particolare).
    • l’intelligenza sintetica, che sa utilizzare informazioni da diverse fonti.
    • l’intelligenza creativa, che si spinge sul terreno dell’innovazione.
    • l’intelligenza rispettosa, che registra e accoglie con favore le diversità.
    • e l’intelligenza etica, che riflette sui bisogni e le attese del singolo, cercando di collocarle nelle aspirazioni della società.

Queste capacità educate sulla sostanza delle cinque intelligenze valgono per tutti e possono manifestarsi diversamente, nella pluralità e nell’imperfezione, creando concrete realtà che contaminandosi realizzano ecosistemi (educazione). Cultura inclusiva, dove si intende un processo che connette elementi imprevedibili e tali da non permettere razionalmente la visibilità di un nesso tra loro. Dubitare dell’immobilità dell’imperfezione, l’orizzonte si sposta.

La vita è fatta di dettagli. Base dell’educazione è imparare la precisione che porta, per Simone Weil, all’aspetto più importante in assoluto; l’attenzione. Essa è emotiva, empatica, concreta, disciplinare ecc. ecc., ecosistema, luogo intensivo. Tutto ciò porta il soggetto disabile ad un miglioramento del tenore di vita personale nell’indipendenza, nell’autostima e nella maggior sicurezza secondo il grado e la possibilità dei propri limiti concreti ma variabili. L’ecosistema realizza la cultura inclusiva nel soggetto che si tramuta in luogo di contaminazione.

Precisazioni

Luogo. ‘Luogo’ è diverso da ‘spazio’. Uno spazio è geometrico e misurabile: lo spazio è una categoria familiare per i geometri e gli astrofisici. Ma i luoghi sono gli spazi abitati, vissuti. Si può essere proprietari di uno spazio, ma di un luogo non si può essere proprietari; forse abitanti, forse custodi. Un’atmosfera caratterizza il suo unico ‘luogo’, lo ‘spazio’ non ha atmosfera.

Ecosistema. Andrea Canevaro, inclusione scolastica (esempio di ecosistema): “E’ una ricerca anche faticosa di identità, che non si ferma a un singolo bambino disabile, ma provoca una rete di dinamiche che toccano ciascuno, nella classe, nelle famiglie, nella scuola, con confini sfumati e anche allargabili o proiettabili nel futuro”.

Altro esempio. Edouard Séguin, in un’opera del 1846, raccomanda di non fare apparire i cibi e l’acqua sulle mense dei ragazzi disabili; raccomanda di evitare di presentare quello di cui hanno bisogno come se apparisse per sortilegio, ma di percorrere insieme la storia di ogni oggetto, per scoprirne la provenienza, le trasformazioni, le differenze, gli ostacoli incontrati. Tali consigli sono da collegarsi a una strutturazione delle personalità tanto degli educatori quanto dei ragazzi: che siano in una dimensione storica, vivendo il rapporto con la realtà come un percorso o una traccia che non segue linee rigide e diritte, ma procede per prove ed errori, sapendo collocare in un errore la prova e quindi sapendo cercare la strada per aggirare gli ostacoli.

L’educazione è un ecosistema.

Attenzione. Elevarsi dal generale al particolare, dall’astratto al concreto. In questo senso, per Simone Weil, è attenzione alla realtà del mondo e come empaticamente ci poniamo, vale a dire con quale grado di controllo/autocontrollo, verso noi e verso il fuori. Massima importanza per ogni educazione. Il genio è l’attenzione.

Educazione. Condurre, tirar fuori. John Dewey diceva che non esiste una scienza dell’educazione: l’educazione è come “l’arte di costruire i ponti”.

“Dunque l’educazione è un’arte, che passa per l’intuizione e la visione dell’educatore e dell’educando che riplasmano quello che si chiama “contesto”.” (G.Zoppoli)

Pedagogia. “La pedagogia è il ramo pratico della filosofia (Rousseau), della psicologia (Piaget), con il complemento delle tecniche educative (Freinet). Nasce con Rousseau (ottimismo della ragione) e Pestalozzi (pessimismo della ragione, ottimismo della volontà; una sfida contro la storia ma anche contro la natura)”. (G.Fofi)

Processo

L’incontro con il gruppo dell’associazione Onlus Millepiedi nasce per offrire la possibilità a giovani con disabilità di vivere l’esperienza del Karate come percorso di crescita. Nel caso specifico la proposta di un corso di Karate nasce dalla certezza che solo ponendo al centro le possibilità e gli interessi della persona, piuttosto che le carenze e le mancanze, si può pensare ad una visione della disabilità in chiave positiva, che pensa i soggetti attivi e compartecipativi del proprio vivere. Ognuno, inserito nel gruppo, parte dalle proprie abilità motorie, e seguendo costantemente e in maniera graduale il percorso pone le basi per la fiducia reciproca e la sicurezza; principi fondamentali per la motivazione e quindi per la crescita.

Il processo tende a far emergere un miglioramento di sicurezza e serenità attraverso dei punti essenziali:

  • livello di attenzione e di concentrazione;
  • disponibilità e rispetto verso l’altro,
  • coordinazione e spazialità;
  • equilibrio psico-fisico;
  • autocontrollo, per meglio gestire le proprie emozioni;
  • autostima;

Tutti questi aspetti si uniscono per il fine ultimo che è il miglioramento della qualità di vita.

“Persone con disabilità nel loro percorso per diventare adulti. Seguendo la logica dell’ICF, che introduce una rottura concettuale circa la definizione stessa di handicap, vogliamo comprendere come un soggetto con una sua propria disabilità possa padroneggiare un ambiente e trasformarlo in contesto. E questo in un passaggio fondamentale, e cruciale, della vita come il passaggio all’età adulta. Ambiente può essere passività. Contesto esige adattamento attivo. […].” (Andrea Canevaro)

La realtà del Dojo risponde ampiamente a quanto detto.

Osservazione

Karate Plurale è iniziato nel settembre 2016, con l’adesione di 5 giovani/adulti con disabilità eterogenee. Nel gennaio del 2018 hanno svolto gli esami di cintura gialla, mostrando di aver acquisito una parte principale del programma tecnico, dimostrando un grande entusiasmo nel mettersi in gioco, in un ambiente nuovo e di fronte a molti praticanti sconosciuti, oltre ai Maestri esaminatori, nonostante le difficoltà oggettive. Nel 2017 ha visto crescere il numero di partecipanti, arrivando ad un gruppo di dieci persone. Il gruppo è eterogeneo, composto da tre femmine e sette maschi. Ogni partecipante porta avanti la sua personale crescita, che è per ognuno diversa.

Si sottolineano, rispetto all’inizio, notevoli miglioramenti sull’attenzione, propria e verso l’altro, la coordinazione, l’utilizzo e consapevolezza degli spostamenti nelle varie direzioni, l’autocontrollo. Aumento notevole della capacità di sopportare la frustrazione dell’errore con serenità, rispetto e accettazione dei difetti degli altri, riduzione di egocentrismo.

Il gruppo, invece, inizialmente, presentava varie criticità diversificate;

  • difficoltà nel mantenere il silenzio durante il saluto, comprendendone comunque l’importanza e sforzandosi nel rispettarlo
  • difficoltà nel restare all’interno dello spazio e dei tempi assegnati
  • difficoltà nel comprendere il linguaggio verbale legato alle parti del corpo
  • difficoltà nel riconoscere le varie parti del corpo trovando corrispondenza con il proprio movimento
  • difficoltà nell’imitare gli esercizi di allungamento svolti dal maestro di fronte a specchio
  • difficoltà di attenzione
  • difficoltà nel riconoscere e distinguere la destra dalla sinistra
  • difficoltà nel kumite a svolgere la difesa corrispondente all’attacco (tendenza a fare la stessa tecnica dell’attaccante seguendolo per imitazione).
  • difficoltà nel seguire il comando
  • difficoltà nel riconoscersi un’individualità a sé (es. “M.Z. cambia gamba….” E la cambiano o tutti o nessuno…)
  • difficoltà nell’apprendimento

Ora il gruppo conosce e svolge il programma federale e il programma IKTA fino a cintura arancio, imparando e comprendendone il lessico.

L’allenamento permette di creare un luogo di “abitanti” dove l’atmosfera è viva e vera, dove vengono costruiti continuamente ponti immaginari per aggirare gli ostacoli che ovviamente sono maggiori rispetto ad un altro luogo dove le capacità sono più visibili e omologate e uniformate dalla formazione scolastica.

Punti salienti su come lavorare con soggetti disabili;

  • Tutoraggio
  • Metodo personalizzato (per ognuno del gruppo)
  • Entrare in rapporto (empatia)
  • Consapevolezza della sua malattia e dei suoi limiti
  • Dare informazioni: io chi sono?
  • Integrare
  • Non prevaricare
  • Responsabilizzare, gratificare
  • Rituali: fare la stessa cosa nello stesso orario (cure ricorsive)
  • Potenziare la memorizzazione
  • Stessi diritti e privilegi dei normodotati (quando presenti volontari)
  • Valorizzare
  • Rispetto, dignità
  • Sicurezza
  • Obiettivo primario: l’AUTONOMIA

“Un sant’uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:-Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l’Inferno. Dio condusse il sant’uomo verso due porte. Aprì una delle due e gli permise di guardare all’interno. Al centro della stanza, c’era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola, si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant’uomo sentì l’acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall’aspetto livido e malato. Avevano tutti l’aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po’, ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio, non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant’uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze. Dio disse: – Hai appena visto l’Inferno. Dio e l’uomo si diressero verso la seconda porta. Dio l’aprì. La scena che l’uomo vide era identica alla precedente. C’era la grande tavola rotonda, il recipiente colmo di cibo delizioso che gli fece ancora venire l’acquolina. Le persone intorno alla tavola avevano anch’esse i cucchiai dai lunghi manici. Questa volta, però, le persone erano ben nutrite e felici e conversavano tra di loro sorridendo. Il sant’uomo disse a Dio: – Non capisco! – E’ semplice, rispose Dio, dipende solo da un’abilità. Essi hanno appreso a nutrirsi gli uni gli altri, mentre gli altri non pensano che a loro stessi”.